Calciostruzzo

Paralleli

Posted in Europa by calciostruzzo on 21 ottobre 2010

A dieci giorni da Italia-Serbia e giusto uno dalle aggressioni di gruppi ultrà del Napoli ai sostenitori del Liverpool al seguito della propria squadra, mi è venuto da fare un confronto tra due realtà apparentemente distanti ma forse invece no.

In Italia ci si stupisce tutti che con tanti bravi meridionali la mafia e la malavita organizzata in generale continuino a spadroneggiare attraverso un evidente radicamento territoriale, senza comunque dimenticarci che i tentacoli delle tante piovre esistenti arrivano anche al Nord e all’estero. Contemporaneamente, milioni di tifosi italiani di calcio sono ostaggio in tutta la penisola delle frange violente del tifo e della generale maleducazione spesso sfociante in aggressività che si annida anche in tribuna, erroneamente indicata per tanto tempo come la faccia bella del tifo allo stadio in contrapposizione a quella brutta delle curve.

Ora, di fronte a due piaghe ognuna della quale a modo proprio martoria il nostro Paese, la domanda sorge spontanea: non è che esista una radice comune? Non mi riferisco tanto alle cause di questi due mali quanto al terreno fertile che trovano in Italia, a come riescono ad attacchire attraverso l’interposizione di un tessuto sociale troppo eterogeneo e spesso imperscrutabile in intenzioni e interessi per costituire il sano cuscinetto che potrebbe rendere più agevole il controllo da parte dello Stato. Sempre che lo Stato oltre che di nome resti di fatto il rappreentante di tutti noi.

Venendo specificamente al caso calcistico, risulta anche disdicevole l’attenzione prestata alle vicende violente che accadono all’estero. Primo perché numericamente sono ormai risibili rispetto a quelle italiane, spesso taciute sui principali mezzi di informazione e quindi scorrettamente e utilitaristicamente ridimensionate in quanto ad impatto emotivo, e poi perché se qualcosa da noi non va non lo si risolve consolandosi all’idea, oltretutto traviata, che sia un fenomeno diffuso in tutto il mondo. Soprattutto perché mentre si filosofeggia sulla questione ci sono persone tranquille e di ogni età a cui è negata l’allegra partecipazione a molti eventi sportivi. Ripeto, sportivi.

In inghilterra, dopo l’Heysel che altro non fu che la punta di un iceberg che Oltremanica conoscevano benissimo e studiavano da anni (oltre che lo smascheramento di una gravissima inettitudine organizzativa imputabile a UEFA e forze dell’ordine belghe) si assistette senza possibilità di replica all’esclusione dalle competizioni europee per cinque anni di tutte le squadre indistintamente, eccezion fatta per il Liverpool che dovette restare fuori per otto. Un prezzo altissimo da pagare, di cui oltretutto sul campo beneficiarono le italiane che abituate com’erano a prenderle si riossigenarono al punto che dopo aver vinto tantissimo durante l’assenza delle inglesi quando queste rientrarono si erano trasformate in corazzate solide abbastanza da reggere l’urto di ritorno britannico ancora per molti anni. Dal punto di vista sociale, però, in Inghilterra si passò dalle reti elettriche intorno al campo del Chelsea a stadi senza barriere e soprattutto moderni in cui si continua ad andare col sorriso sulle labbra. Com’è giusto che sia. Sul modello di parchi mal frequentati che possono essere riqualificati soltanto abbellendoli e riempiendoli di gente normale, in pratica consegnandoli a chi lo merita.

La boria italiana, calcistica come organizzativa, fa ancora più rabbia quando si pensa che Genoa-Milan si è giocata per lunghi anni a porte chiuse, che gli accoltellamenti e le auto date alle fiamme a Roma sono all’ordine del giorno, che in Sicilia rivolte nei porti e bombe negli stadi hanno caratterizzato gli ultimi anni, senza dimenticarsi delle faide in casa Toro, delle aggressioni fisiche lasciate perpetrare da alcuni tifosi juventini ai danni dei loro giocatori, di tutti gli assalti alle sedi delle Società per motivi spesso legati a commistioni d’affari tra dirigenti e ultrà. E poi l’anarchia totale sui campi delle Serie inferiori, fatta di minacce, pestaggi, agguati anche lonatno dai campi, niente di diverso da quanto successo al portiere della Serbia, per intenderci. E i morti ammazzati. Ma anche i cori razzisti che si levano da curve diverse e oltretutto sono spesso tollerate dai dirigenti se il risultato gli arride, e ancora per esempio la farsa del derby di Roma, con l’annuncio della morte di un bambino che fece fermare la partita. Cosa dire poi delle razzie delle aree di servizio in autostrada, diventate talmente ordinarie da non fare più notizia e che avvenivano anche mentre le inglesi, loro, erano squalificate? O dei regolamenti di conti fra ultrà che si danno appuntamento giù dai treni in mezzo alla campagna? Quando però accadde una cosa simile in Argentina, ma giù da pullman che si erano fermati a metà strada fra Buenos Aires e Rosario, le nostre televisioni ne parlarono come di un episodio di guerra, al limite dell’incredibile e per fortuna lontano anni luce dalla nostra paradisiaca penisola… Mi fermo qui, ma potrei riempire pagine intere come potrebbe farlo ognuno di voi. Lo sappiamo.

Io non ho la ricetta per tanto scempio ma dico che qualche anno di isolamento, sul modello inglese di fine anni Ottanta, ci starebbe proprio bene. Finalmente. Sarebbe anche l’occasione giusta per far crescere come si deve i tanti giovani talenti di casa nostra che adesso com’è evidente non vengono degnati di attenzione al punto che molti di loro vengono convocati dalle Scuole Calcio di prestigiosi Club stranieri e poi fatti esordire tra i professionisti in tempi brevi per quanto sono bravi. Temo, però, che impunita, sfacciata e molle come si è sempre dimostrata nel suo complesso, l’Italia non trarrebbe alcun beneficio da questo provvedimento e che coglierebbe l’occasione per lamentarsi un’altra volta. Limite, questo, di un sistema di rappresentanza su cui nutro forti dubbi.